Il titolo della mostra – Porta l’acqua un fuoco fermo – è tratto dal testo che la poetessa spagnola Ángela Segovia dedica all’autore e alla sua ricerca.
Gonzalo Borondo è un artista che giunge a fondere la sua istruzione “non convenzionale” (a quattordici anni a Madrid già pratica graffiti, tag in giro per la città,) il punk e il DIY, con un composito amalgama culturale che, dalle scene fantastiche, ispirate ai sogni e al mondo soprannaturale di Francisco Goya passa per l’esplorazione interiore, di ricerca dell’assoluto del cinema di Andrej Tarkovskij. E poi prosegue per l’indagine delle diverse relazioni fra l’involucro corporale e lo spazio architettonico o naturale col quale si rapporta sulla scia dell’esempio di Antony Gormley, per approdare a William Kentridge e al suo metodo combinatorio di disegno, scrittura, film, performance, musica, teatro e pratiche collaborative, per creare opere d’arte che hanno fondamenta nella politica, nella letteratura e nella storia. Gli anni della formazione di Borondo – a cui partecipa anche il suo maestro José García Herranz – restituiscono un artista dalla doppia identità: da un lato il writer e dall’altro il pittore “classico” (figlio, peraltro, di un restauratore).
Il percorso espositivo comprende numerose opere, molte delle quali di grande formato, tra cui imponenti trittici su vetro eseguiti nel 2025 e l’installazione Bruma, che occupa un’intera sala della galleria. L’allestimento è concepito per accogliere il pubblico in una pinacoteca personale ed intima. L’artista spagnolo sembra ricordarci che la sua non è solo una ricerca formale, perché intende restituire alla forma anche l’anima, l’etica, l’impegno civile, tra l’essenza di un passato dimenticato, le nostalgie, i sogni e le memorie tradite nel presente.
Gonzalo Borondo è un artista che giunge a fondere la sua istruzione “non convenzionale” (a quattordici anni a Madrid già pratica graffiti, tag in giro per la città,) il punk e il DIY, con un composito amalgama culturale che, dalle scene fantastiche, ispirate ai sogni e al mondo soprannaturale di Francisco Goya passa per l’esplorazione interiore, di ricerca dell’assoluto del cinema di Andrej Tarkovskij. E poi prosegue per l’indagine delle diverse relazioni fra l’involucro corporale e lo spazio architettonico o naturale col quale si rapporta sulla scia dell’esempio di Antony Gormley, per approdare a William Kentridge e al suo metodo combinatorio di disegno, scrittura, film, performance, musica, teatro e pratiche collaborative, per creare opere d’arte che hanno fondamenta nella politica, nella letteratura e nella storia. Gli anni della formazione di Borondo – a cui partecipa anche il suo maestro José García Herranz – restituiscono un artista dalla doppia identità: da un lato il writer e dall’altro il pittore “classico” (figlio, peraltro, di un restauratore).
Il percorso espositivo comprende numerose opere, molte delle quali di grande formato, tra cui imponenti trittici su vetro eseguiti nel 2025 e l’installazione Bruma, che occupa un’intera sala della galleria. L’allestimento è concepito per accogliere il pubblico in una pinacoteca personale ed intima. L’artista spagnolo sembra ricordarci che la sua non è solo una ricerca formale, perché intende restituire alla forma anche l’anima, l’etica, l’impegno civile, tra l’essenza di un passato dimenticato, le nostalgie, i sogni e le memorie tradite nel presente.
